Trattenere i compensi del proprio avvocato è reato

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Trattenere i compensi del proprio avvocato è reato

Con la sentenza che si offre integralmente la Corte di Cassazione ha mutato un orientamento oramai consolidato da molti anni secondo cui non poteva ritenersi integrato il reato di approriazione indebita da parte del cliente che tratteneva o incassava le somme liquidate da titolo di spese legali o da una Compagnia Assicurativa o da uno controparte (tra le tante si veda sentenza  Cass. n. 20606/2015).  Viceversa pochi giorni fa la Seconda Sezione penale ha mutato radicalmente orientamento, ed in particolare ha sancito la responsabilità penale del cliente che ometta , in caso di liquidazione di onorari da parte di una compagnia assicurativa, di corrispondere al legale gli onorari dalla medesima liquidati. 

Possiamo dire che questo costituirà una garanzia per il professionista che fino ad oggi poteva solo rivolgersi al Giudice Civile per ottenere il ristoro di quanto indebitamente trattenuto dal cliente.

 

 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 febbraio – 8 maggio 2018, n. 20117

Presidente Gallo – Relatore Di Paola

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’ Appello di Caltanissetta, con sentenza in data 22/9/2016, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata nei confronti di L.G.E. dal Tribunale di Enna, in data 17/10/2013, in relazione al reato di cui all’art. 646 cod. pen..

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen., in relazione al disposto dell’art. 646 cod. pen., per aver la Corte erroneamente ritenuto sussistente il requisito oggettivo del delitto contestato, mentre dagli atti risultava il dubbio sulla natura delle somme versate dalla compagnia assicuratrice e ricevute dall’imputato, se cioè dovessero esser imputate al risarcimento del danno spettante all’imputato, ovvero al pagamento dell’onorario del difensore che lo aveva assistito; il ricorrente riteneva che la vicenda integrasse esclusivamente un mero inadempimento contrattuale, difettando altresì la prova del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia il vizio di assenza di motivazione, per aver la Corte ripercorso la motivazione della sentenza di primo grado senza fornire risposta adeguata alle censure formulate attraverso l’atto di appello.

Considerato in diritto

1. Entrambi i motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente attesa la connessione logica delle argomentazioni svolte, sono infondati.

2.1. Il ricorrente prospetta con il primo motivo di ricorso la valenza puramente civilistica dell’inadempimento dell’imputato, rispetto all’obbligo di versamento in favore del professionista delle somme dovute per il suo onorario, così fornendo una diversa qualificazione giuridica alla condotta contestata, in ragione della natura delle somme ricevute dalla compagnia assicuratrice. Si tratta di censura che non si confronta con la motivazione della decisione impugnata che ha precisato, in sintesi ma adeguatamente, la sicura indicazione emergente dagli atti processuali circa la natura della somma ricevuta dall’imputato, somma che era stata imputata, dalla compagnia assicuratrice, al credito per la prestazione professionale del legale che aveva assistito l’imputato. La circostanza, del resto, era stata già precisata nella motivazione della sentenza di primo grado, ove si chiariva che nella somma ricevuta complessivamente dal L. era ricompreso, per espressa dizione della compagnia assicuratrice che aveva inviato la somma a mezzo titolo di credito, l’importo di Euro 500 che corrispondevano alle competenze professionali del difensore, con l’incarico di versarle allo stesso.

2.2. A fronte di tali dati fattuali, è corretta in diritto la decisione della corte d’appello, che ha fatto applicazione del principio in forza del quale il soggetto che abbia ricevuto una somma in denaro, appartenente a terzi, con l’obbligo di trasferirla all’avente diritto, ove non provveda alla restituzione della somma risponde del delitto di appropriazione indebita, quand’anche possa vantare ragioni di credito nei confronti del terzo (circostanza che nella specie, peraltro, non ricorreva, né poteva dirsi che il difensore nel richiedere la somma versata dall’assicuratore intendesse soddisfare un credito vantato direttamente nei confronti del L. , trattandosi di autonomo rapporto obbligatorio tra il professionista e l’assicuratore); così è stato affermato che “si configura il reato di appropriazione indebita nella condotta dell’esercente la professione forense, che trattenga somme riscosse a nome e per conto del cliente, anche se egli sia, a sua volta, creditore di quest’ultimo per spese e competenze relative ad incarichi professionali espletati, a meno che non si dimostri non solo l’esistenza del credito, ma anche la sua esigibilità ed il suo preciso ammontare” (Sez. 2, n. 5499 del 9/10/2013, dep. 2014, Carnevale Baraglia, Rv. 258220; per una fattispecie in. cui è stato ravvisato il delitto di appropriazione indebita nella condotta del promissario venditore che, in esecuzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, si era impossessato dell’importo corrisposto a titolo di “deposito cauzionale infruttifero”, e non come acconto sul prezzo o come caparra confirmatoria, sul presupposto che il contratto preliminare prevedeva che l’importo versato all’alienante sarebbe stato imputato a titolo di corrispettivo della vendita solo in sede di rogito per cui, fino a quel momento, il denaro non era entrato nel patrimonio dell’accipiens, v. Sez. 2, n. 54945 del 16/11/2017, Ranuzzi, Rv. 271528).

2.3. Ad opposta conclusione si sarebbe dovuti giungere ove dagli atti del processo fosse positivamente risultato che l’intera somma inviata dalla compagnia assicuratrice fosse stata liquidata a favore del solo imputato (v. ad esempio, Sez. 2, n. 25344 del 25/05/2011, Giannone, Rv. 250767: “non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria”).

3. Il secondo motivo di ricorso, strettamente collegato al primo, è anch’esso infondato; il ricorrente si duole di un assunto vizio della motivazione, che sembrerebbe integrato dalle ragioni a giustificazione del rigetto dell’impugnazione. Al contrario, la Corte ha specificato sia, come detto, le ragioni che imponevano la qualificazione delle somme indebitamente trattenute dall’imputato come compenso dovuto al proprio legale, sia i motivi che rendevano chiara la consapevole e volontaria condotta appropriativa, alla luce del perdurante mancato versamento dei compensi spettanti al difensore della persona offesa, pur dopo l’avvenuto integrale versamento delle somme attese dall’imputato.

4. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

By | 2018-05-11T12:43:11+02:00 Maggio 11th, 2018|Diritto civile, Home, People, Responsabilità Civile|0 Comments

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